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Assedio al Viminale dopo gli scontri. Il Paese ostaggio di oltre mille cortei

Un nuovo sit-in, stavolta per manifestare "contro le vostre manganellate" davanti al teatro dell'Opera di Roma, proprio a due passi dal Viminale

Assedio al Viminale dopo gli scontri. Il Paese ostaggio di oltre mille cortei

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Un nuovo sit-in, stavolta per manifestare «contro le vostre manganellate» davanti al teatro dell'Opera di Roma, proprio a due passi dal Viminale, «casa» di Matteo Piantedosi, finito nel mirino delle critiche dopo gli scontri tra studenti e polizia dell'altro giorno a Pisa.

A organizzarlo è la Rete degli studenti medi del Lazio, ma in piazza al tramonto arrivano anche diversi collettivi, esponenti del Pd (tra loro l'ex segretario Nicola Zingaretti), M5s (al sit-in anche Conte) e alleanza Verdi-Sinistra, oltre ad Arci, Anpi e Cgil. E che il titolare del ministero dell'Interno sia l'obiettivo della protesta lo esplicita la coordinatrice della Rete, Tullia Nargiso, lamentando »le cariche della polizia durante manifestazioni pacifiche di studenti e studentesse», e «senza alcuna presa di responsabilità da parte del ministro Piantedosi».

Anche Anpi, Arci e Cgil in un comunicato danno per scontato che non si sia di fronte a «episodi isolati di cattiva gestione dell'ordine pubblico», ma semmai a un «uso politico delle forze dell'ordine» da parte dell'esecutivo.

Al sit-in arrivano in 5-600, gli slogan e i cartelli più gettonati invocano tutti, come previsto, le dimissioni del ministro dell'Interno. Nessuno scontro e nessun attrito con le forze dell'ordine, anche se poco dopo le 19 un gruppetto di manifestanti si avvicina al lato della piazza che dà sul Viminale e al coro «corteo-corteo» riesce a raggiungere, correndo, il ministero dell'Interno, trovandosi di fronte uno schieramento di blindati. Così il manipolo di manifestanti, dopo aver scandito qualche slogan contro il padrone di casa, pochi minuti più tardi torna indietro e si unisce al presidio prima che tutti, alle 20, vadano a casa.

In serata spunta anche il capo grillino Giuseppe Conte: «C'è poca tolleranza per il dissenso politico e per le manifestazioni di protesta» dice. Ma finisce lui stesso contestato da un drappello di ragazzi che lo accusano - fra le altre cose - di non aver fatto nulla di concreto «per la Palestina». «Oggi viene qui perché c'è la campagna elettorale, ma con che faccia?». E lui replica: «Siete disinformati, se mettete tutti sullo stesso piano non andiamo da nessuna parte».

Colpisce in ogni caso la sicurezza con cui a sinistra si sostiene che il governo utilizzi le forze dell'ordine come «braccio armato» contro il dissenso. Basta scorrere le cronache a ritroso per accorgersi che non sono mancate manganellate in passato, anche quando a Palazzo Chigi c'erano premier sostenuti da altre maggioranze. Inoltre il capo della Polizia, Vittorio Pisani, ha spiegato che le scelte sui servizi di ordine pubblico «non sono determinate né da scelte politiche né da direttive politiche». Non riuscendo comunque a spegnere l'incendio, visto che si sostiene ancora che quella violenza sia dettata da una precisa linea «governativa». L'esecutivo è messo alle strette dalla piazza, con l'appoggio del centrosinistra, ma i numeri delle manifestazioni, anche solo di quelle legate al conflitto tra Israele e Palestina dopo il 7 ottobre, non offrono materiale per corroborare l'allarme sollevato da opposizione, sindacati e studenti.

In 4 mesi e mezzo ci sono state 1077 manifestazioni, quasi otto al giorno, eppure, fanno notare dal Dipartimento di Pubblica sicurezza, solo in 33 «si sono verificate situazioni di criticità sotto il profilo dell'ordine pubblico». Una percentuale pari al 3.06%.

E proprio il ministro ha messo in guardia dal rischio di strumentalizzare politicamente gli scontri per andare a cercare una presunta linea politica dietro all'uso della forza.

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