Terrorismo

L'allerta Usa a Mosca: "Colpiranno il Crocus"

I servizi americani misero in guardia i russi due settimane prima dell'attentato al teatro. Ma il Cremlino li ignorò

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Anche quando una bugia viene portata avanti a lungo, con convinzione, coinvolgendo più soggetti e rilanciandola all'infinito, c'è un momento in cui il castello crolla di fronte all'evidenza. Nel caso della menzogna russa secondo cui dietro l'attentato del Crocus City Hall di Mosca ci sia la mano ucraina, le evidenze contrarie sono state tantissime da subito. Ma anche di fronte alle rivendicazioni dell'Isis, ai video, alle prove e alle testimonianze, il Cremlino ha provato a tirare dritto. Adesso però arriva una evidenza, che oltre a smentire la linea russa, mette in ulteriore imbarazzo tutto l'establishment. Due settimane prima dell'attacco costato la vita ad oltre 140 persone, non solo gli Stati Uniti avevano avvisato i servizi segreti russi del rischio attentati, ma avevano anche comunicato che proprio il Crocus City Hall era il potenziale obiettivo di un attacco.

La rilevazione di funzionari americani al Washington Post, smonta buona parte delle bugie di Mosca. Putin per primo, di fronte agli alert americani, aveva replicato sprezzante parlando «un vero e proprio ricatto, tentativi di intimidire e destabilizzare la nostra società». Mentre Sergei Naryshkin, capo dei servizi segreti esteri, aveva detto che le «informazioni condivise dagli Stati Uniti erano troppo generiche». Balle, perché da quanto trapela da Washington, la condivisione di informazioni su possibili attentati è un fatto abituale secondo una politica di «dovere» che va oltre le distanze politiche e sociali. Al punto che gli Usa avrebbero di recente messo in allerta con tempismo anche l'Iran, non esattamente un Paese amico. Nel caso specifico la condivisione così precisa di notizie servivano anche a tutelare e cittadini americani presenti in Russia, tanto da invitare tutti gli americani ad evitare grandi raduni.

Il report americano, oltre a mettere all'angolo il Cremlino, solleva anche alcuni interrogativi: perché le autorità russe non hanno messo in campo misure di sicurezza più forti per proteggere il teatro? Come mai quattro persone armate sono entrate indisturbate facendo strage? E perché le forze di sicurezza russe sono intervenute soltanto un'ora dopo l'inizio dell'attacco e hanno atteso 30 minuti all'esterno prima di intervenire? L'ipotesi americana verte su diversi fronti. Innanzitutto gli agenti segreti sono molto più impegnati in Ucraina che in patria, dove comunque si concentrano sul mettere a tacere il dissenso interno. In secondo luogo è probabile che abbiano maldestramente abbassato la guardia non assistendo ad attentati nei giorni immediatamente successivi al report. Eppure in passato, per esempio nel 2017 e nel 2019, (amministrazione Trump in carica) Mosca aveva accolto con gratitudine l'assistenza americana per sventare due attacchi terroristici a San Pietroburgo.

Il portavoce del Cremlino Peskov ha liquidato la notizia dicendo che «tali scambi di informazioni avvengono attraverso i canali di servizi speciali» mentre il leader del consiglio di sicurezza, il falco Patrushev, fedelissimo alla linea, continua a sostenere che le tracce portano ai servizi speciali ucraini. Chissà coma mai. Oltre a cercare di giustificare la guerra di invasione agli occhi del mondo, guarda caso, il ministero della Difesa russo sostiene che dopo la strage della Crocus City Hall il numero delle persone che vogliono arruolarsi nell'esercito russo sia «aumentato in modo significativo», con circa 16mila persone arruolate negli ultimi 10 giorni. Come mai la linea rimane la stessa? A pensar male..

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